Due domande a Vladimir Putin

5 ìàðòà 2012 ã.

Prima domanda: «Lei capisce il prezzo della sua vittoria?»

Indubbiamente, Putin ha un elettorato fedele. Il 30, 40, e forse quasi il 50%. Per salire al potere – e specifico subito, per salire onestamente al potere – è più che sufficiente. Certo, non al primo turno, ma comunque… Io stimo e rispetto sinceramente la scelta di queste persone. Anche se tra costoro ci sono parecchi che pensano alla Russia secondo categorie che mi risultano strane, ad esempio nei termini di «rivoluzione arancione», «barricate», oppure, diciamo, «nuovo impero ortodosso» e così via.

Ma il problema del prezzo della vittoria è un altro. Che bisogno c’era, in questa situazione, di moltiplicare le schede elettorali e organizzare balletti di elettori a rotazione in più seggi, o di comprare e rubare in altri modi i voti dei cittadini? Comprare il basso elettorato è semplicissimo. Comprarlo nel senso letterale della parola. A Mosca un voto costa 2000 rubli, in provincia cinque volte meno.

Ieri però i voti non sono stati acquistati solo con i soldi. Stamattina la babysitter di mio figlio mi ha raccontato di sua sorella, che vive in una cittadina dell’Estremo Oriente: era intenzionata a votare per Mironov, ma ieri ha telefonato dicendo che aveva votato Putin. Perché? La risposta, per quanto inattesa, è molto semplice: solo chi votava Putin poteva fare gratis l’analisi della glicemia nel sangue. E quando per fare le analisi c’è una lista d’attesa di mesi, questo argomento diventa decisivo.

Oggi questo è diventato storia del nostro paese, una pagina di cui non possiamo andare fieri. E questa pagina è legata a doppio nodo al nome di Putin, che ha abilmente giocato sulla povertà e il bisogno della gente.

Capisco la sua logica: aveva una gran voglia di evitare la seconda tornata. Putin è un uomo forte, vincere al secondo turno avrebbe significato ammettere la propria debolezza. Ma vincere con i voti ottenuti a questo prezzo è immorale.

Immagino che Putin, pur avendo agito così, non sarà però d’accordo con questa mia conclusione. Quali sono, allora, le sue motivazioni morali? Più volte, anche negli ultimi giorni, ha dichiarato: «Gloria alla Russia!». Il nuovo presidente si rende conto che la gloria che vuole acquistare al nostro paese, per i prossimi sei anni avrà inevitabilmente un sapore di menzogna? E ormai non ci si può fare più nulla.

 

Seconda domanda: «Lei vuol essere presidente di tutto il paese oppure le basta essere presidente solo dei suoi sostenitori?»

Noi viviamo ancora in una Russia postsovietica. La sua principale caratteristica, soprattutto negli ultimi mesi, è diventata il linguaggio dell’ostilità. Sono molte le forze politiche e sociali che lo usano. Nel periodo elettorale il linguaggio dell’ostilità è stato anche il linguaggio della mobilitazione, e l’hanno usato in maniera particolarmente sofisticata il sistema dei media controllati dallo Stato e le organizzazioni giovanili create dal Cremlino.

Continuano a mancare il desiderio e l’esigenza di dialogare. E non c’è neppure stima reciproca. Ma che cos’è allora la società russa odierna? Siamo ancora in una situazione di guerra civile? Non è un caso che alla vigilia delle elezioni alla televisione abbiano dato La guardia bianca.

Ieri Putin ha vinto, e adesso è ora che mostri chiaramente a tutti noi, cittadini russi, che l’appello a compattare la nazione, la ricerca di nemici interni, la retorica delle barricate non sono lo stile del presidente della Russia. Ora che Putin ha raggiunto il proprio scopo, nello spazio pubblico deve agire un Putin completamente diverso! Ma per il momento non vedo un altro Putin. È sempre lo stesso.

Guardo Putin e cerco di capire. Avrà la volontà, la capacità di diventare il presidente di tutto il paese e non solo dei propri sostenitori? Per me è evidente che tale scopo non può essere raggiunto senza un gigantesco, titanico sforzo morale.

Per intanto, oggi e domani, Putin non è ancora presidente. Ma oggi e domani è quaresima, un tempo quantomai adatto per lavorare su di sé.

Che cosa gli riuscirà di fare? Non lo so. Ma sono pronto a pregare per lui.

Infine, come moscovita mi viene in mente anche un’altra cosa. I teologi del medioevo asserivano che il regnante percepisce il territorio del proprio paese fisicamente, come suo «secondo corpo». In Russia per lungo tempo il punto più dolente è stato il Caucaso. Ma le elezioni hanno mostrato che per Putin il punto più dolente è Mosca, cuore della Russia. Mosca non l’ha accettato, ha votato «peggio» di tutto il paese.

Auguro a Putin di trovare le forze per non strappare questo cuore. Non si riuscirebbe comunque a sostituirlo con il «rombante motore» degli inni di staliniana memoria, per quanto molti ne abbiano voglia.

Di Sergej Čapnin

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