Parla Serghei Chapnin: Sono stato licenziato dal patriarca Kirill. In Russia una nuova "Chiesa del silenzio"

Mosca (AsiaNews) - Dopo la decisione del Patriarca Kirill di licenziarlo da direttore della "Rivista del Patriarcato di Mosca", il mensile che racconta la vita pastorale della Chiesa, il giornalista Serghei Chapnin ha rilasciato due interviste (ai giornali online Slon.ru e Colta.ru), definendo “politica” la decisione del primate ortodosso di allontanarlo dal posto che ha occupato per sei anni e raccontando che la sua relazione al Centro Carnegie di Mosca (qui in russo) molto critica dei vertici della Chiesa ortodossa russa è stata solo un pretesto: in passato era stato messo in guardia più volte di non esprimere pubblicamente critiche su questo tema. 

Di seguito riportiamo alcuni dei passaggi più significativi delle due interviste.

Secondo la stampa, lei è stato licenziato per la relazione dal titolo “L’ortodossia nello spazio pubblico: guerra e violenza, eroi e santi”. Si tratta del motivo ufficiale? 

I due eventi sono legati soltanto perché tra di loro sono trascorsi pochi giorni: il 9 dicembre ho letto la mia relazione e dopo pochi giorni è arrivato l’ordine del Patriarca Kirill per il quale la mia ulteriore permanenza in carica era considerata “inadeguata”. Il mio intervento è stato il pretesto per il licenziamento, ma in nessun modo la ragione. Quello letto al Carnegie] Non è il mio testo principale uscito quest’anno. Il principale è quello molto più duro pubblicato a novembre sulla rivista cattolica conservatrice First Thing, intitolato “Una Chiesa dell’Impero” (qui il testo in inglese). Questi testi hanno infastidito molti. Ci sono state anche lettere ufficiali di avvertimento. In particolare, non molto tempo fa sono finito ‘sotto divieto’: mi è stato di fatto vietato di intervenire a conferenze internazionali. 

Succede spesso? 

Non conosco altri casi. Probabilmente io sono il primo e per ora l’unico.

Si aspettava che le sue pubblicazioni potessero portare al licenziamento?

Sì certo, ne ero consapevole. Ma essere nella Chiesa ortodossa per me è un grande privilegio. E in particolare come cristiano sono chiamato a dire la verità. A differenza dei partiti politici e delle organizzazioni pubbliche, la Chiesa è un organismo speciale. Il Vangelo è una chiamata alla libertà in Cristo. Ho ricevuto accuse che la mia posizione non corrisponde alla posizione ufficiale della Chiesa ortodossa russa. Ma ecco il problema: ritengo che tutti i discorsi sulla “posizione ufficiale della Chiesa” siano una mossa retorica non di successo, che copre la formazione di una nuova ideologia ortodossa. Sembra che qualcuno abbia il desiderio di renderla obbligatoria almeno per tutti i collaboratori della istituzioni ufficiali della Chiesa. Ma a me sembrano eccessive le pretese di essere in linea con la “posizione ufficiale” su tematiche non dogmatiche e non dottrinali. 

Sembra che la Chiesa ortodossa russa abbia già una determinata ideologia, che nasce dagli stretti contatti con il potere statale. 

I parrocchiani sono persone di diverse opinioni politiche, membri dei più diversi partiti e movimenti sociali. Sono uniti in Cristo, ma dire che per questo devono avere anche un’unica ideologia non è nelle tradizioni della Chiesa. A mio parere,  lo stesso tentativo di formare tale ideologia è molto pericoloso. In generale, per la Chiesa russa la stretta collaborazione con lo Stato sta diventando un grosso problema. Al giorno d’oggi la Chiesa unisce i credenti non soltanto della Federazione russa ma anche di tutto lo spazio post-sovietico: Kazakistan, Tajikistan, Ucraina, Bielorussia, i Paesi baltici. A causa della stretta interazione tra Chiesa e Stato i problemi che esistono nelle relazioni tra Stati, si proiettano anche sulla Chiesa. E questo non è chiaramente a suo favore.

Come è stato formulato il suo licenziamento? 

Dal momento che la decisione del Patriarca è stata politica e per il licenziamento questa non era sufficiente, con la direzione della casa editrice abbiamo concordato come uscire da questa situazione nel modo migliore. Mi sono dimesso di comune accordo. 

Cosa è oggi la Rivista del Patriarcato? A chi si rivolge?

Descrive le pratiche religiose e l’esperienza della vita della Chiesa nel mondo moderno. Si rivolge soprattutto al clero e ai laici attivi. Confesso però sinceramente che oggi, di nuovo, la rivista vive una crisi concettuale. Al Carnegie ho parlato del fatto che la Chiesa ortodossa russa si trova in una condizione di “nuovo silenzio”. Il cerchio degli autori si sta contraendo rapidamente: sia i sacerdoti che i vescovi rifiutano di collaborare anche con la rivista ufficiale della Chiesa, perché hanno paura di parlare. Hanno visto cosa succede a chi ha detto che qualcosa non va. 

Il Patriarca l’ha nominata direttore subito dopo la sua intronizzazione nel 2009. Vi conoscevate prima? Che compiti le ha assegnato allora?

Sì, ci conosciamo dalla metà degli anni ’90 e allora avevamo rapporti di grande simpatia. Mi aveva incaricato di riorganizzare la rivista ed era pienamente d’accordo con la mia posizione. In breve, l’idea era la comparsa, accanto alla parte ufficiale, anche di quella non ufficiale. Nella parte non ufficiale sono possibili temi di discussione, idee e valutazioni personali. Non si tratta di una mia invenzione, erano così le pubblicazioni del periodo d’oro del giornalismo ecclesiastico, alla fine del XIX  secolo. Sono stato molto contento del fatto che siamo riusciti a far rivivere queste tradizioni. Purtroppo, è durata solo pochi anni. Gradualmente il cerchio ha cominciato a stringersi, alcuni materiali di discussione sono stati definiti ‘non desiderati’ e il metropolita Hilarion (Alfeev) - il capo del dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca - ha iniziato a trasformarsi da presidente del consiglio di redazione a censore del giornale, a cui si è poi aggiunto un altro censore, l’arciprete Oleg Korytko, capo dell’ufficio patriarcale di revisione. 

Al Carnegie ha parlato dei problemi della violenza nel mondo ortodosso. Che minacce vede?

Ho parlato della retorica della guerra e della giustificazione della violenza che esistono nell’ambiente della Chiesa. Quando l’arciprete Vsevolod Chaplin ha detto che conduciamo una “guerra santa” in Siria, rimane solo un mezzo passo a che si inizi a parlare così anche dell’Ucraina. La richiesta di un’interpretazione simile già esiste. E se non cambia nulla, presto diranno che la lotta per “il mondo russo” (russki mir) in Ucraina è anch’essa una “guerra santa”. E questo avrà gravi conseguenze. 

In linea di principio tali idee già si sentono da parte di figure radicali del mondo laico.

Sì, queste tesi già si avvicinano. Non sono ancora pienamente formulate, ma se ora non si dice ‘stop’, allora le azioni militari possono ottenere non solo una giustificazione morale ma anche una sorta di “autorizzazione divina”. Ma una tale giustificazione per la guerra non è possibile, perché il comandamento evangelico è indiscutibile: beati gli operatori di pace. 

E’ dispiaciuto per quanto successo?

Nei giorni scorsi ho risposto a centinaia di chiamate, email ed sms. Alcuni di solidarietà, altri che chiedevano: “Devo farti le condoglianze o le congratulazioni?”. Qualcuno si è subito congratulato. Tra questi ultimi, vi sono non solo laici, ma anche monaci, sacerdoti e vescovi. Cerco di vedere in tutti gli eventi la Provvidenza di Dio e in questi giorni sento con particolare forza il sostegno che il Signore mi manda attraverso le più differenti persone: sia parenti, che sconosciuti. Non ho rimpianti, sono felice che si aprano nuove prospettive. (M.A.)

Asianews.it
23 декабря 2015 г.
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